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Julian Rachlin

Julian Rachlin direttore d'orchestra
Julian Rachlin Direttore
Veronika Eberle Violino
Musiche di: S. Prokof'ev, F. Mendelssohn, W. A. Mozart

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gio 25.04.2420:30

OSI al LAC

LAC Lugano, Lugano

Programma

Sergej Prokof’ev
(1891 – 1953)

Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 Sinfonia classica (1917)

  1. I. Allegro

  2. II. Intermezzo. Larghetto

  3. III. Gavotta. Non troppo allegro

  4. IV. Finale. Molto vivace

15’

Felix Mendelssohn-Bartholdy
(1809 – 1847)

Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 (1844)

  1. I. Allegro molto appassionato

  2. II. Andante

  3. III. Allegretto non troppo. Allegro molto vivace

26’



Wolfgang Amadeus Mozart
(1756 - 1791)

Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550 (1788 - 1791) (versione con due clarinetti)

  1. I. Molto allegro

  2. II. Andante

  3. III. Minuetto e trio. Allegretto

  4. IV. Allegro assai

26’


Concerto diffuso in diretta radiofonica su RSI Rete Due (rsi.ch/rete-due)

Vi porto tra fate e scintille

Caro pubblico,

sono molto emozionata e felice di tornare a suonare con l’OSI per eseguire il carismatico Concerto per violino di Mendelssohn, insieme a Julian Rachlin.

È un concerto che interpreto da molto tempo: è stato infatti il primo che ho suonato con un’orchestra, all'età di 10 anni.

Mendelssohn è un genio. Non ho parole per dire quanto questa pagina sia semplicemente perfetta, in tutti i sensi. Nella struttura formale percorre strade proprie e nuove: adoro il fatto che il violino solista sia presente fin dal primo secondo di musica, che la cadenza sia inserita nel mezzo del primo movimento e che tutti i e tre i movimenti siano collegati tra loro nel modo più sorprendente, senza soluzione di continuità.

È poi incredibile vedere come il periodo classico e quello romantico si abbraccino. E anche se credo che l'autore abbia avuto parecchie difficoltà nello scrivere quest’opera, nella musica non lo si percepisce affatto: è piena di una luce scintillante, di melodie bellissime e dialoghi brillanti, di pura bellezza, di un’efficacia quasi pittorica. Mi ricorda una favola, specie l’ultimo movimento dove sembra ci siano delle fate danzanti, con grandi fuochi d’artificio conclusivi, come in un glorioso giubileo.

Salgo sempre sul palco con un grande sorriso e il cuore pieno di gioia quando interpreto questo concerto e non vedo l'ora di condividerlo con voi!

Con tanto amore

Veronika Eberle

L’oscura inquietudine del sol minore

La Sinfonia in re maggiore op. 25, intitolata Classica dallo stesso Sergej Prokof’ev, fu composta tra il 1916 ed il 1917 da un compositore ancora ventiseienne che si muoveva all’insegna di quella medesima insofferenza nei confronti dei modelli tardo-romantici che aveva segnato i suoi anni di formazione. Sarà egli stesso ad annotare questo pensiero nei suoi diari: «Quando i nostri musicisti e professori dalle inclinazioni classiche (che secondo me non sono altro che falsi classici) ascolteranno questa sinfonia, inizieranno a gridare contro l’ennesima impudenza commessa da Prokof’ev, che non può nemmeno lasciare in pace Mozart nella tomba, ma ha dovuto disturbarlo con le sue sporche mani, spargendo le sue sporche dissonanze tra le pure perle classiche». Ancora più sorprendente è ricordare che, nel momento in cui Prokof’ev scriveva le pagine della sua prima sinfonia, l’Europa si bagnava del sangue di milioni di soldati, tra gli orrori di quelle trincee ai quali egli era riuscito a sottrarsi per il solo fatto di essere figlio unico di madre vedova. Nulla di quell’orrore permea le pagine di questa sinfonia, nata intorno all’idea di scrivere qualcosa che Haydn stesso non avrebbe sentito il desiderio di correggere o rivedere. Nemmeno lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre, nel 1917, avrebbe interferito con i suoi piani: diresse egli stesso la prima il 21 aprile del 1918 davanti agli esponenti del nuovo governo bolscevico, per poi partire per gli Stati Uniti e rimanervi per diversi anni. Il risultato è di una straordinaria limpidezza: in tutto il primo movimento non un’unica triade minore è stata inserita dal compositore; il secondo movimento gioca sul contrasto tra le tessiture acutissime dei violini e l’incedere goffo dei bassi; la Gavotta (e non un Minuetto) diventa una danza impacciata, dai toni quasi villani, resa grottescamente comica dagli abbellimenti del fagotto e dagli sgraziati salti di ottava nella melodia; il finale suona come una inarrestabile, divertita galoppata conclusiva.

Il Concerto per violino in mi minore di Felix Mendelssohn va ascritto nel novero dei capolavori per questo strumento; co-artefice del suo successo fu il violinista Ferdinand David, al quale fu dedicato. L’occasione è nota e nasce dal lungo rapporto di amicizia che li legava (erano nati, a distanza di un anno, nella stessa casa di Amburgo) e dal sentimento di stima che nutrivano l’uno per l’altro. David, uno dei più importanti violinisti dell’epoca e esponente di quella scuola tedesca che aveva avuto uno dei capostipiti in Louis Spohr (suo insegnante) e uno dei suoi eredi più illustri in Joseph Joachim (suo allievo), nel 1835 aveva risposto all’invito di Mendelssohn di assumere il ruolo di Konzertmeister del Gewandhaus di Lipsia. Dieci anni dopo, nel 1845, David avrebbe portato al successo il Concerto per violino; Mendelssohn gli aveva chiesto consiglio per realizzare la parte solistica, così come avrebbe fatto Brahms con Joachim qualche tempo dopo. Ma il “neoclassico” Mendelssohn, proprio in questo concerto mostra tutta la sua vena romantica, non solo nella qualità lirica e nella tinta patetica dei primi due movimenti, ma anche nelle novità delle sue scelte formali. Per esempio, il primo movimento rinuncia all’esposizione orchestrale e si apre immediatamente con il solo appassionato del violino. Tra i tre movimenti non vi è soluzione di continuità: il primo si spegne nel secondo, che a sua volta si lega al terzo attraverso un esitante recitativo. L’aerea leggerezza dell’ultimo movimento conclude il concerto in un gioco delicato di spunti melodici e spumeggiante virtuosismo strumentale.

Dal mi minore di Mendelssohn si passa al sol minore di Mozart: tra tutte le sinfonie scritte dal salisburghese, soltanto due sono in tonalità minore, ed entrambe sono in sol minore: la KV 183, del 1773 e la KV 550, composta nel 1788. Questo dato, apparentemente di poca importanza, fornisce in verità una prima chiave di lettura di quella che è la connotazione tormentata di questo brano e della storia della sua ricezione ottocentesca, che lo indica tra gli esempi più emblematici di una sorta di proto-romanticismo mozartiano. Nei suoi Elementi teorico-pratici di musica (1796) Francesco Galeazzi definiva il tono di sol minore come “atto alla smania, alla disperazione, all’agitazione” e lo diceva simile a quello di do minore «un Tono Tragico, e atto ad esprimere grandi disavventure, morti di Eroi, ed azioni grandi, ma luttuose, funeste, e lugubri». Se a questo si aggiunge l’inconfondibile ritmo di anapesto (due brevi e una lunga) che caratterizza la linea del tema d’apertura, ecco che si chiarisce quel senso di pulsante inquietudine che avvertiamo in tutto il movimento. Le circostanze che condussero alla composizione di questa sinfonia non sono note e non è chiaro se Mozart sia riuscito a vederla eseguita pubblicamente in concerto negli ultimi anni della sua breve esistenza. Ben note sono invece le notizie biografiche che ci consegnano i tratti di un uomo amareggiato dalle difficoltà economiche, angosciato dai cattivi presagi e soltanto in parte sostenuto dai “fratelli” massoni. Forse proprio quest’ultimo dato potrebbe spiegare la successiva versione con due clarinetti, verosimilmente legata ai “fratelli” Anton e Johann Stadler; per il primo, Mozart avrebbe scritto il Concerto per clarinetto KV 622.

Massimo Zicari

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Orchestra residente al LAC (Lugano Arte e Cultura) di Lugano, prosegue il suo cammino di successo sotto la bacchetta di Markus Poschner, direttore principale dal 2015.

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