Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 (1885)
I. Allegro non troppo
II. Andante moderato
III. Allegro giocoso
IV. Allegro energico e passionato
Concerto diffuso in diretta radiofonica su RSI Rete Due (rsi.ch/rete-due)
Egmont ouverture op. 84
Prima esecuzione: Vienna, Hofburgtheater, 15 giugno 1810
Tra Kant, Goethe e Beethoven: eroismo e dittatura, slanci morali e ideali illuministici.
Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in do minore op. 18
Prima esecuzione: Società Filarmonica di Mosca, 9 novembre 1901. Direttore Aleksandr Ziloti, solista Sergej Rachmaninov
La rinascita dell’ultimo, grande pianista-compositore con un Concerto di travolgente titanismo virtuosistico e ineccepibile compattezza strutturale.
Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Prima esecuzione: Meiningen, Hoftheater, 25 Ottobre 1885. Direttore Johannes Brahms
Il suggello della produzione sinfonica brahmsiana ma anche il culmine di uno stile, di una sensibilità musicale, che parte da Bach e passa per Beethoven
Caro pubblico,
la musica di Sergej Rachmaninov mi sta particolarmente a cuore, mi ci sento "a casa". Interpretando i suoi concerti per pianoforte e orchestra, è importante per me dimostrare che egli non è il compositore kitsch a cui spesso viene ridotto, per esempio proprio nel caso di questo Secondo Concerto.
Cerco - come faceva lo stesso Rachmaninov nelle sue registrazioni - di suonare in un modo che risulti semplice, anche se allo stesso tempo resta profondamente ricco di emozioni. Noi pianisti possiamo considerarci molto fortunati ad avere queste registrazioni dell’autore: trovo la sua interpretazione "esemplare", per così dire. È chiaro come Rachmaninov veda la propria musica in modo classico, preciso e serio.
Sono molto contenta di poter suonare questa sua opera a Lugano con l'Orchestra della Svizzera italiana - nel mezzo della nostra tournée in sei città della Germania - con la direzione di Markus Poschner, con il quale ho già dei bei ricordi di concerti suonati insieme.
Buon ascolto!
Anna Vinnitskaya
La storia della musica è anche una storia di eroismi e ripiegamenti, di slanci titanici e abbandoni melanconici: i primi alternati ai secondi, spesso in maniera inavvertibile. Esemplare è in tal senso la storia del conte Lamoral di Egmont, che fu decapitato nel 1568 sulla Grand Place di Bruxelles per essersi opposto al Duca d’Alba, emissario della potenza dominante spagnola nei Paesi Bassi: Goethe vi si ispirò per la sua tragedia Egmont (1788), costruita sulla dicotomia tra desiderio utopistico di giustizia e dispotismo autoritario. Un contrasto, questo, centrale anche per Ludwig van Beethoven, che scrisse le musiche di scena per il dramma goethiano (una ouverture e altri nove pezzi, tra vocali e strumentali) «soltanto per amore del poema di Goethe», pur essendo stato invitato a comporre l'opera dal Teatro Imperiale di Vienna, dove «trattarono la mia musica senza nessuna cura, come del resto erano soliti fare». In effetti la stesura della partitura era iniziata nell’ottobre 1809 e terminata nel giugno dell’anno successivo: a Goethe piacque molto e del resto Beethoven condivideva con lui l’alto apprezzamento per quegli ideali kantiani di libertà e grandezza morale rivolta al bene comune, che giunge fino al sacrificio personale. Tutto è riassunto nella celebre ouverture, evidentemente collegata a quella del Coriolano (1807) e alla Leonore III, sia nel modello Lento-Allegro sia per la condensazione drammaturgica della figura del protagonista: non stupisce, quindi, che la fanfara finale, dai tratti eroici e giubilanti, descriva la morte fisica dell’eroe, che però corrisponde a un trionfo degli ideali di libertà.
Pochi anni prima Beethoven aveva composto il suo Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra, che spiccava per quell’inizio affidato allo strumento solo: simile espediente sarà adottato molti anni dopo da Sergej Rachmaninov per l’epico incipit del suo Concerto n. 2, composto tra la fine del 1900 e l’estate successiva, che costituì una sorta di rinascita dopo i fiaschi della Sinfonia n. 1 (1897) e del Concerto n. 1, eseguito a Londra. Vittima di un tracollo psichico e dipendente dall’alcol, Rachmaninov si affidò al Dottor Dahl, che lo guarì con innovative tecniche di ipnosi e al quale, come ringraziamento, dedicò il nuovo lavoro, che si rivelò un successo clamoroso, il primo veramente internazionale del compositore-pianista. Pochi mesi dopo la prima moscovita del 27 ottobre 1901, Rachmaninov lo presentò a Londra, Lipsia e San Pietroburgo e, sul fronte privato, acquisì l’agognata stabilità sposando il 12 maggio 1902 la cugina Natal’ja Aleksandrovna Satina. Il Concerto n. 2 è lo strumento perfetto per la figura, di derivazione ottocentesca e che con Rachmaninov conosce forse l’ultima e più alta espressione, del compositore-pianista virtuoso, capace di un titanismo che è insieme tecnico ed espressivo: a partire dagli spettacolari rintocchi funebri dell’inizio, affidati come detto al pianoforte solo, il primo tema del Moderato è ansioso e appassionato, accompagnato dall’ansimare degli arpeggi pianistici, fino a passare ad un secondo tema cantabile, melodicamente affascinante. D’altronde, la dimensione della cantabilità melanconica, esaltata da un pianismo virtuosistico e fiorito, esplode nell’Adagio sostenuto (la cui melodia fu usata anche in una celebre canzone del 1975, “All by Myself”): un tema presentato da flauto e clarinetto, poi dagli archi tutti, con il pianoforte che talora si limita a sognanti arpeggi di accompagnamento e talaltra si lancia in cadenze di impressionante floridezza. Il tutto conduce all’Allegro scherzando conclusivo, che riprende l’atmosfera eroica, quasi marziale del primo ma in maniera più brillante, quasi noncurante, con un tema incisivo e nervoso che poi fa spazio ad un secondo (forse preso in prestito dall’autore all’amico Nikita Morozov) molto cantabile, fino alla coda sempre più caratterizzata da un’atmosfera brillante e survoltata. Non più l’eroismo kantiano di Egmont, ma quello del virtuoso che doma lo strumento e soggioga l’auditorio.
Non ci potrebbe essere contrasto maggiore con la Sinfonia n. 4 di Brahms, che nasce nella quiete estiva del villaggio di Mürzzuschlag, in Stiria, e che si presenta come un frutto insieme maturo e meditativo dell’ultimo Brahms, che con questa partitura suggella la sua esperienza con il genere che più gli era costato problemi e dubbi, quello della sinfonia, un genere dominato dall’ombra gigante (titanica, appunto) di Beethoven. Brahms sentiva la responsabilità storica di esserne, volente o nolente, il continuatore («non puoi avere un'idea di ciò che si sente, avvertendo dietro le spalle i passi di un gigante come quello», aveva detto al direttore d'orchestra Hermann Levi): in tal senso, la Quarta è una sorta di suggello della sua esperienza compositiva personale e di un intero mondo che parte da Bach. Perché nell’Allegro non troppo d’apertura, in classica forma sonata e aperto da un tema autunnale e ansimante, quasi venuto da lontano, si avverte quel ritmo di Ciaccona che poi sarà costitutivo del Finale, con ben 31 variazioni e una Coda «dall’impeto quasi brutale, in cui si perde l’atmosfera distaccata e serena della prima pagina» (Vallora). E in questo suggello, come suggerisce in maniera definitiva Massimo Mila, «sono passate le forze che hanno sconvolto il mondo negli ultimi cent’anni».
Nicola Cattò
Ruolo
Direttore
Ruolo
Pianoforte
Orchestra residente al LAC (Lugano Arte e Cultura) di Lugano, prosegue il suo cammino di successo sotto la bacchetta di Markus Poschner, direttore principale dal 2015.
Iscriviti alla newsletter
Scoprire in anteprima contenuti speciali.