Solleva la palpebra chiusa che sfiora un sogno verginale; io sono il fantasma della rosa che tu portavi ieri al ballo.
Tu mi hai preso ancora adornata dalle perle d'argento dell'innaffiatoio e alla festa stellata mi hai portato con te tutta la sera.
Oh, tu che sei stata la causa della mia morte,
senza che tu potessi evitarla, tutte le notti il mio rosato spettro verrà a danzare al tuo capezzale,
ma non temere, non reclama da te né una messa né un De Profundis; la mia anima è questo leggero profumo, e io giungo dal Paradiso.
Il mio destino fu degno d'invidia e, per avere una sorte sì bella, più d'uno avrebbe dato la vita, perché sul tuo seno ho la mia tomba, e su quella bianchezza d'alabastro ove riposo un poeta con un bacio scrive: Qui giace una rosa di cui tutti i re sono gelosi.
La mia bella amica è morta: per sempre piangerò;
nella sua tomba reca con sé la mia anima e i miei amori. In cielo, senza attendermi, lei se ne sta tornando; l'angelo che la guida non ha voluto prender anche me. Ah, quant'è amara la mia sorte! Ah, viaggiare sul mare senza amore!
La bianca creatura giace nel suo feretro! Come nella natura tutto mi sembra in lutto! La colomba dimenticata piange e sogna l'assente; la mia anima piange e sente d'essere spaiata, senza lei. Ah, quant'è amara la mia sorte! Ah, viaggiare sul mare senza amore!
Su di me la notte immensa si stende come una coltre funebre; io canto la mia romanza che il cielo ascolta solo. Ah, come lei era bella e come io l'amavo! Non amerò mai più un'altra donna come lei. Ah, quant'è amara la mia sorte! Ah, viaggiare sul mare senza amore! Ah!
Ritorna, ritorna o mia amatissima! Come un fiore lontano dal sole, s'è arrestato il fiore della mia vita lungi dal tuo sorriso vermiglio.
Tra i nostri cuori, quale distacco! Quanto spazio tra i nostri baci! O sorte amara! O dura assenza! O grandi desideri inappagati!
Ritorna, ritorna o mia amatissima...
Da qui là in fondo, quante campagne, quanti paesi e quanti paeselli, quante valli e quante montagne, da stancare il piede dei cavalli!
Ritorna, ritorna o mia amatissima...
Conoscete la bianca tomba dove ondeggia con un suono lamentoso l'ombra d'un tasso? Sul tasso, una pallida colomba, triste e sola al tramonto, canta il suo canto: un motivo morbosamente tenero, affascinante e allo stesso tempo fatale, che vi fa del male, e che si vorrebbe ascoltare sempre, un motivo come quelli che sospira verso il cielo l'angelo innamorato. Si direbbe che l'anima risvegliata pianga sotto la terra all'unisono con la canzone, e si lamenti della sfortuna d'essere dimenticata con un tubare
dolcissimo. Sulle ali della musica si sente lentamente tornare un ricordo; Un'ombra, una forma angelica passa in un raggio tremolante, in un bianco velo. Le belle di notte, semichiuse, spandono il loro profumo debole e dolce intorno a voi e il fantasma dalle pose mollicce mormora tendendovi le braccia: "Ritornerai!" Oh! Mai più, vicino alla tomba io andrò quando scende la sera
col suo nero manto, ad ascoltare la pallida colomba cantare sulla cima del tasso il suo canto lamentoso!
Dite, bella giovane, ove volete andare? La vela gonfia la sua ala, la brezza sta per soffiare! Il remo è d'avorio, il padiglione di stoffa marezzata, il timone d'oro fino; per zavorra ho un arancio per vela l'ala di un angelo, per mozzo un serafino.
Dite, bella giovane...
È verso il Baltico, o nel Pacifico, nell'isola di Giava? o è in Norvegia, a cogliere il fior di neve, o il fior d'Angsokd?
Dite, bella giovane ove volete andare?
Conducetemi, dice la bella, alla riva della fede
ove si ama sempre. Tale riva, mia cara, non la si conosce affatto nel paese degli amori.
Ove volete andare? la brezza sta per soffiare.
(Si ringrazia per la gentile concessione)
l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma)
Caro pubblico,
è un piacere assoluto tornare a suonare con l’OSI. È un’orchestra a cui in questi anni mi sono molto affezionato: mi sono sempre divertito in modo straordinario con i meravigliosi musicisti e lo staff, e il pubblico è sempre estremamente caloroso e gentile.
Il programma di stasera vi presenta due brani di musica relativamente poco ascoltati, ma notevoli per la loro risonanza e poesia. Il primo, Les nuits d’été di Hector Berlioz, che eseguiamo con il mezzosoprano Justina Gringytė, è una delle opere fondamentali del grande compositore francese, in cui egli ha messo le basi di tutti i concetti romantici profondi che ha poi utilizzato anche in seguito, nella sua Symphonie fantastique e in altre opere maggiori.
Nella seconda parte della serata c’è la Sinfonia n. 5 di Ralph Vaughan Williams, che è una risposta e - si potrebbe dire - un’esperienza musicale curativa per alcuni degli orrori della Seconda guerra mondiale.
È una musica piena di amore, di vita, di luce e per me è un brano che non viene suonato abbastanza spesso. Scritta in un’epoca di guerra, potrebbe forse essere terapeutica per tutti noi oggi, in questi tempi difficili e in continuo cambiamento.
Vi auguro un buon ascolto,
Robert Treviño
«Ascoltare la Quinta sinfonia di Ralph Vaughan Williams è come fissare una mucca per 45 minuti»: in un’ipotetica classifica dei motti di spirito e degli insulti che i compositori si sono scambiati in tutta la storia della musica, questo di Aaron Copland certamente si situa ai primi posti. Ma perché questa cattiveria? Forse in quanto è difficile immaginare qualcosa di più diverso fra lo stile musicale dell’uno e dell’altro: le composizioni di Vaughan Williams, anzi, appaiono l’epitome di quello che si definisce “inglese”, ossia un senso di lirismo melanconico, di cose familiari eppure profonde e quasi mistiche, non disgiunto da un certo patriottismo.
Vaughan Williams non era certo uno sprovveduto: studi al Royal College of Music (anche se i suoi insegnanti commentavano che «he was so hopelessly bad at it»…), perfezionamento a Berlino con Bruch e a Parigi con Ravel (che lo descriverà come «l’unico dei miei allievi che non scrive la mia stessa musica»), un’esperienza di trascrittore, con l’amico Holst, del patrimonio di canti popolari inglesi, che lo portano all’incontro con l’antico repertorio elisabettiano e con la questione della “musica nazionale”: per lui, la musica popolare, specie quella legata alle festività religiose, conserva un autentico afflato mistico e spirituale.
In tutte le sue nove sinfonie, Vaughan Williams sembra sempre confrontarsi con il grande repertorio romantico, ma ribaltandone la struttura: la frase melodica non è il punto di partenza ma il culmine espressivo di un procedimento di aggregazione di cellule elementari. La sua musica, tra l’altro, si diffuse velocemente in Gran Bretagna anche in virtù dei suoi ottimi legami con le persone più importanti dell’establishment musicale, con incisioni, concerti e pubblicazioni, e il suo influsso si esercitò sia sui compositori più giovani come Finzi e Tippett, sia -- lo ha spiegato Bernstein in una memorabile lezione televisiva -- sulle canzoni dei Beatles, per l’uso dell’armonia modale.
La Quinta, scritta durante la guerra (tra il 1938 e il 1943) si pone in forte contrasto con la precedente sinfonia, violenta e dissonante, richiamando invece le atmosfere della Terza, “Pastorale”: fu dedicata a Sibelius (che accettò tale onore dopo averne ascoltata un’esecuzione alla radio), il “nume tutelare” di tanti compositori inglesi del primo ‘900. Organizzata nei canonici quattro movimenti, prende in prestito molti temi dall’opera allora incompiuta (ma poi terminata) The Pilgrim’s Progress: particolarmente evidente questa derivazione “vocalistica” nella bella Romanza, aperta da un assolo di corno inglese. Alla fine, più che nella cattiveria di Copland, una esatta definizione di questa sinfonia sta nelle parole di un critico, Neville Cardus: in anni tremendi di guerra, «la sua Quinta Sinfonia contiene la musica più benedicente e consolante del nostro tempo».
Anche il ciclo Les nuits d’été vive, in un certo senso, di simile moderazione e contenimento degli eccessi: tanto più sorprendente in un artista sulfureo quale fu Hector Berlioz. Si tratta di un ciclo di sei mélodies (le uniche di Berlioz ad essere raccolte in un ciclo organico) composte tra il 1838 e il 1841 su testi di Théophile Gautier: originariamente per voce di mezzosoprano o tenore e pianoforte, vennero poi orchestrate tra il 1843 (la prima, Absence) e il 1855/56 (le altre cinque).
La versione originale presenta una calcolatissima successione di atmosfere e tonalità, ma mostra anche l’estraneità di base di Berlioz verso il pianoforte, strumento che non giunse mai a dominare; quella orchestrale, al contrario, prevede l’assegnazione di ogni pezzo a un diverso tipo di voce (ma poi, nella pratica concertistica, è un solo cantante ad interpretarle tutte e sei, con gli opportuni cambi di tonalità: proprio come stasera). Si potrebbe leggere nelle sei pagine una sorta di autobiografia, la natura effimera dell’amore che viene descritta alludendo alla fine del suo matrimonio con Harriet Smithson e all’inizio della storia con Marie Recio (un mezzosoprano!); ma in realtà nei sei testi, e nella loro versione musicale, troviamo un’atmosfera misteriosa e allusiva, sensuale e poetica, per la quale Berlioz rinuncia al gigantismo orchestrale per cui era divenuto famoso ed utilizza un’orchestrazione che sembra nascere al momento, sulla parola e per la parola, con un’essenzialità e una allusività davvero miracolose.
Nicola Cattò
Ruolo
Direttore
Ruolo
Mezzosoprano
Orchestra residente al LAC (Lugano Arte e Cultura) di Lugano, prosegue il suo cammino di successo sotto la bacchetta di Markus Poschner, direttore principale dal 2015.
Iscriviti alla newsletter
Scoprire in anteprima contenuti speciali.